La Milano che non c'è più


La vendita a un imprenditore thailandese dell'Internazionale FC da parte di Massimo Moratti segna la fine di un'epoca, non solo per la società e i suoi tifosi, ma anche per l'identità della città. Qui una serie di riflessioni apparse sui giornali.

Maurizio Crippa
Notturno nerazzurro
"Una certa Milano. Non la “Milano che non c’è più” che ci ammorba di nostalgia da cartolina (e il Derby e la nebbia e il Gaber e Jannacci, gran milanista ad ogni buon conto), non la Milano delle fabbriche, di “io dell’Inter, lei del Milan”. No, finisce (inizia a finire) anche una Milano più recente, quella che negli ultimi decenni è stata il palcoscenico di un altro tycoon, ma brianzolo, che l’ha trasformata con le televisioni e la pubblicità, la grande distribuzione e tutto il resto, fino a tirarle fuori dalle budella pure un’anima politica. Mentre dall’altra parte, ma pur sempre dentro la stessa ricchezza affluente e antropologica da happy hour, inseguiva la Milano progressista, radical chic, di Gino Strada e di Gino & Michele, di Salvatores e della Smemoranda, delle Storie tese di Elio e di don Colmegna. La Milano insomma che ha sempre amato i Moratti, il Massimo petroliere e sua moglie Milli, la pasionaria  ecologista che gira in bici e a Palazzo Marino faceva battaglie sullo sviluppo sostenibile della città, contro l’algida cognata Letizia. La Milano dell’Inter è stata lo specchio rovesciato della Milano di Berlusconi, nel suo quarto di secolo trionfale contrapposto in un derby eterno all’altra città, quella piena di buona coscienza e nevrotica come i colori della notte. Le due squadre di Milano sono state lo specchio di due Italie".
"Il Foglio", 27 luglio 2013

Beppe Severgnini
Cedere o non cedere: il dilemma sentimentale di Amleto Moratti
"I Moratti, infatti, hanno rappresentato la quintessenza della milanesità calcistica. Massimo, petroliere sognatore, e Milly, ambientalista realista: che fantastico ossimoro familiare, che attaccamento alla squadra. 1995-2013: lunghe attese, grandi successi, qualche bruciante delusione e alcune difficoltà di gestione. L'Inter come forma di allenamento alla vita, esercizio di autoironia, occasionale malinconia: non dimenticheremo questi diciotto anni. Il tifo nella sua forma migliore - c'è anche l'altra, becera e rancorosa - è una fantasia colorata."
"Corriere della Sera", 8 agosto 2013